Il terapeuta breve “non interpreta” quello che l’altro sente
L’approccio alla terapia, richiamandosi direttamente alla moderna filosofia della conoscenza costruttivista, si fonda sulla constatazione della impossibilità, da parte di qualunque scienza, di offrire una spiegazione assolutamente «vera» e «definitiva» della realtà. Non esiste una sola realtà ma tante realtà a seconda dei punti di osservazione e degli strumenti utilizzati per osservare. (Nardone 1990)
Il terapeuta breve non ricerca le “cause del passato”
Da questa prospettiva il compito del terapeuta si focalizza non sull’analisi del «profondo» e sulla ricerca delle cause del problema sino alla estrapolazione delle verità nascoste, ma sul “come funziona e sul come si può cambiare la situazione di disagio” di un soggetto, coppia o famiglia. Il passaggio è dai contenuti ai processi, un sapere come fare piuttosto che un sapere perché. (Nardone 1990)
Il terapeuta breve rende “efficiente” il suo intervento “concentrandosi direttamente sul sintomo” intervenendo su quel “meccanismo ricorrente” che mette in atto la persona quando sbaglia.
Appare assurda la convinzione, usuale, che problemi o disagi maturati lungo un arco di tempo molto esteso necessitino obbligatoriamente, per essere risolti, di un altrettanto lungo trattamento terapeutico. O che problemi umani di grande sofferenza e complicazione debbano richiedere un’altrettanto complicata e sofferta risoluzione. (Nardone 1990)
È l’esperienza che cambia il comportamento e non il contrario.
La maggior parte delle psicoterapie, imbevute dall’idea del «cogito-centrismo» (centralità del pensiero rispetto alle azioni), partono dal presupposto che l’agire segue il pensare; di conseguenza per cambiare un comportamento distorto o una situazione problematica, si deve prima cambiare il pensare del paziente e solamente dopo si può cambiare il suo agire. (Nardone 1990)